Romagna mia

Romagna Mia

Radici

Radici? Le radici sono tante cose; sono gli anelli nella catena della vita, sono il passato, il passato che si allunga nel presente e germoglia e da frutti e quei frutti siamo noi. Amare le proprie radici e coltivarle vuol dire amare se stessi. E quando abbiamo dei dubbi su come comportarci, guardiamoci intorno e leggiamo nel gran libro della natura: se tagliamo le radici di un albero o le avveleniamo, l’albero muore e altrettanto succede agli uomini, a noi, ai nostri paesi, alle nostre comunità. Ci sono tante varietà di alberi, di uomini, di paesi ed è nella diversità che s’innesca il movimento vitale; ma la diversità dipende dalle loro radici.

Volete continuare a vivere? Curate e date aria alle vostre radici.

Questo dicono alcune grandi voci di Romagna che, con la modestia dei nostri mezzi, abbiamo fatto risuonare qualche anno fa in un giardino ad Alfonsine e di cui riporto qui qualche estratto.

⁂⁂⁂

Dalla Presentazione a Romagna mia: “… proprio per la grandezza di queste voci siamo consapevoli della difficoltà di questa nostra modesta impresa e, al tempo stesso però, anche del dovere di farle risuonare sulle nostre bocche, come direbbe Tonino Guerra – sulle bocche di tutti, perché a tutti arrivi il loro messaggio, mai come in questo momento necessario.

E piena d’amore è la loro voce – amore per la propria terra – e il loro messaggio è di mantenere il legame con essa, con le proprie radici, che sono l’unico mezzo cui aggrapparsi per salvarsi dalla progressiva omologazione o meglio ‘morte spirituale’, indotta dall’inesorabile avanzare della civiltà del profitto.

Il loro messaggio è che ci sono ben altre cose nella vita che vengono prima del profitto e che la religione del profitto sta distruggendo i presupposti della nostra umanità.

E non poteva esserci anima più congeniale con questo messaggio di quella del Regista di questo nostro pomeriggio: Mauro Barabani, attore di lungo corso, uomo di paese che ha conosciuto per anni Roma, la grande città del cinema e dello spettacolo.

Potrei raccontarvi molte cose sul rapporto di Mauro con lo Spirito del luogo – di come sia addirittura riuscito a far chiudere (incredibilmente) una discarica guidando la protesta del paese con uno spettacolo teatrale…

Ma devo presentarvi il programma di questo pomeriggio:

Si comincerà con la lettura a due voci di un brano tratto da un mio recente libro sullo spirito del luogo per poi dare la parola a Tonino Guerra che si lamenta dell’avanzare di questa civiltà desertificante e si rivolge agli amministratori e ai politici facendo appello alla loro sensibilità.

Carica la dose con il suo tipico linguaggio apparentemente banale a da bar, l’altro grande di S. Arcangelo, Raffaello Baldini.

A questa prima parte segue una seconda parte… immancabilmente in dialetto…

Dai testi letti nella I parte

(Apertura musicale: Petite Fleur di Papetti)

Beatrice:

Il luogo è una forza concreta e potente – un depositato, stratificato, antico e indistruttibile – una fiamma sempre accesa nel cuore dei suoi figli; mai davvero spenta, ma solo sopita e che al minimo soffio divampa e brucia: la nostalgia del ritorno.
Non so se chi non prova, o dice di non provare, nostalgia sia più felice di chi la prova e vi si abbandona; so solo che non vorrei non avere nostalgia – non avere un luogo che mi chiama in continuazione; a cui io, non so perché, sono in debito; cui forse non ho dato tutto quello che potevo e dovevo secondo quelle potenzialità che quel luogo mi aveva dato.

Tonino:

Ogni uomo ormai quando si alza e si muove in casa si trova subito nella terra di nessuno.
Anche prima che si alzi, anche se è solo, anche se sta fermo.
Ma ammettiamo che si alzi, esca e vada in strada.
Non è come nell’altra guerra che la terra di nessuno era una piccola striscia tra due trincee e magari ci sono dei punti dove puoi vedere il nemico e buttargli delle bombe addosso se state attaccando o delle sigarette se invece è una giornata calma e tu senti che lui sta cantando o ride e batte il cucchiaio dentro la gavetta.
Oggi questa terra di nessuno è davanti, di dietro, attorno, è diventata enorme: è tutta la terra che c’è sulla terra.

Beatrice:

La Madre Terra parla ai suoi figli ovunque; ma, come le madri, ha voci, inflessioni e toni diversi per i diversi figli, o, più semplicemente, siamo noi che percepiamo e reagiamo in maniera diversa qui, dove sono cresciuti e hanno vissuto i nostri antenati, i nostri morti, che in qualche modo vivono in noi, e riconoscono questo sole, quest’aria, questo gelo, facendoci sentire un senso di continuità che non possiamo sentire in nessun altro luogo. Questo è il luogo dove più intensa batte per noi la poesia della vita.

Tonino:

In un certo senso si ha nostalgia della miseria
e cioè di quando c’era quel rapporto difficile ma sano coi grandi valori della vita.
E’ anche per questo che di tanto in tanto risento il bruciore delle castagne che da ragazzo rubavo dalla padella infuocata.
Spesso mi faccio lasciare in fondo ai calanchi dove ci sono casali abbandonati.
Non è soltanto qualcosa di vecchio che vado cercando,
ritrovo quegli odori umidi che lasciano i terreni con le orme delle zampe di gallina.
E gli scricchiolii delle docce arrugginite.
Siamo drogati d’infanzia, di quel tempo in cui ci sentivamo immortali.

Beatrice:

È nella lontananza che si precisano ancor di più i lineamenti, i caratteri, dello Spirito del luogo che ti ha cresciuto e plasmato bambino… il bisogno di tornare… Tornare con la scrittura… scrivere…

Tonino:

Il mio problema non è tanto di conoscere ma di riconoscere.
E non è solo una questione di memoria.
Un tempo le persone avevano addosso dei continenti, con un mondo di magia dentro la gobba.
Vivevamo addosso agli altri… adesso siamo piantine senza radici in un terreno deserto.
E forse per questo che non so più orizzontarmi.
Non mi riconosco nella gente,
nessuna cosa ha più la faccia…
una mano invisibile ha cancellato i lineamenti di tutto.

Beatrice:

…continuando a ricordare ossia ad ascoltare ed obbedire all’impulso che muove da sottoterra.
Come parte di ‘questa bella d’erbe famiglia ed animali, come le api e i calabroni, le mosche d’oro, anch’io ronzo a modo mio…

Tonino:

Bisogna stare in un posto dove le parole diventano foglie
e così possono rubare i colori alle nuvole
e dondolare al vento.
I nostri discorsi devono avere sulle spalle gli umori delle stagioni e il riverbero dei paesaggi dove stanno nascendo.

⁂⁂⁂

Tonino:

Signor sindaco,

l’altra sera ho fatto dei piccoli sogni uno dopo l’altro. Tutte le volte appariva la Piazza Grande col rettangolo usato in modo diverso. Nel primo vedevo che i palazzi attorno racchiudevano un orto, come una volta. E io mi chiedevo se non sia giusto togliere il selciato e rimettere rettangoli di aglio, di cavoli e di girasoli.
Vedevo che i paesani camminavano lungo i sentieri e si piegavano per controllare se gli ortaggi erano giusti da raccogliere. Sorridevano e si scambiavano delle foglie.
Poi ho sognato la piazza com’è adesso; ma con un albero in più, un ciliegio in un angolo, che nello spazio breve di un attimo metteva delle foglie, poi i fiori, poi i frutti e in ultimo restava nudo, pronto a ridursi un ricamo con la neve.
Allora ho detto questo è possibile.
E anche altri piccoli accorgimenti.
I lecci seri e imbronciati potrebbero vivere a Natale con piccole scintille luminose grandi come lucciole e in modo che si possa dire che esse sono cadute in Piazza Grande.
E non quelle palline di plastica colorata che imitano frutti velenosi.
Tante cose così.
E anche musica, perlomeno la domenica mattina alle undici, e magari tutti i giorni quando la sera è trascinata da scarpe solitarie e la nebbia racchiude nei suoi veli i lampioni, un valzer di Faini o di Strauss agli altoparlanti rannicchiati tra gli alberi. Bisogna tornare a essere bambini per governare.

Caro sindaco,

è ora che tu cominci ad ascoltare le voci che sembrano inutili, bisogna che nel tuo cervello occupato dalle lunghe tubature delle fogne e dai muri delle scuole e dagli ospizi e dall’asfalto e dai ferri e dalle pillole per gli ospedali,bisogna che nel tuo cervello pratico e attento soprattutto ai bisogni materiali, bisogna che entri il ronzio degli insetti.
Devi pregare che su questa piazza arrivino le cicogne
o mille ali di farfalle,
devi riempire gli occhi di tutti noi di cose che siano l’inizio di un grande sogno,
devi gridare che costruiremo le piramidi.
Non importa se poi non le costruiremo.
Quello che conta è alimentare il desiderio,
tirare la nostra anima da tutti i lati
come se fosse un lenzuolo dilatabile all’infinito…
Ed Ecco che arriva la nuvola di farfalle,
ecco che abbandoniamo la sedia di casa e lo stretto cannocchiale delle finestre.
Stiamo tornando al centro della piazza per godere assieme questo spettacolo!
I grandi godimenti sono quelli che si provano succhiando dagli altri la meraviglia che esplode.
Solo così può rinascere la bella favola del nostro paese.
La Piazza Grande è il centro di tutti gli spazi che ho avuto in regalo; anche tu Sindaco; anche gli altri. Ecco perché ti prego di affacciarti dal balcone e di guardare a lungo questo rettangolo fondamentale per la tua e le nostre vite.
Un punto di partenza e arrivo, un punto di riferimento continuo non può essere abbandonato; deve sentire la febbre della tua attenzione continua e precisa.
Adesso più di prima; adesso, perché il deserto sta verificandosi dove un tempo la gente si vedeva e si abbracciava.
Così bisogna tornare dove la parola è ridata alle nostre bocche e le immagini germogliano nella nostra fantasia.

Musica: Valzer Romagnolo di Casadei