Quell’albero di Casumaro

Prima d’incominciare…

‘C’era una volta una bambina…

Mi piacerebbe incominciare, senza bisogno d’introduzione, come faceva papà, seduto nella sua poltrona di vimini, ssót’al rusticanàr con intorno noi bambini, ognuno sulla sua seggiolina portata da casa: “e ’lóra si stava facendo notte e nel bosco era sempre più buio, e lei si aggirava tra gli alberi e non sapeva dove andare a ripararsi, quando le sembrò di vedere una porticina nel tronco d’un albero; bussò e, dop’un po’, venn’ad aprire una vecchina…”; ma ‘or non è più quel tempo e quel- l’età’, come dice il poeta, e io, che son diventata un professore, ho invece bisogno di giustificare il mio racconto rispondendo, proprio come raccomando agli studenti che si accingono a scrivere la tesi, alle tre domande: che cosa intendo fare, perché e come.

È vero che questo non è un lavoro scientifico e io potrei incominciare in maniera meno prosastica, come suggeriscono i grandi maestri della narrazione di cui sono esperta, con un trucco o un’invenzione per attrarre il lettore e suscitarne l’interesse; ma questa volta sto scrivendo solo per quei lettori che già sono interessati a ciò che scrivo e che anzi mi sono grati perché lo faccio, per quei pezzetti di passato che salvo dall’oblio; sì, perché quello che ascolterete vuole essere il ritratto di una donna vissuta a Casumaro nella prima metà del Novecento, la Desdè- mone, mia zia, attraverso i miei ricordi, e sarà quindi anche un ritratto, seppur parziale, o come si dice oggi una clip, della vita a Casumaro negli anni cinquanta…